CSI: “Quando la legge sui defibrillatori fa venire il mal di cuore….”

Il Punto del presidente Massimo Achini pubblicato sul quotidiano Avvenire giovedì 17 settembre 2015In Italia stiamo superando il tetto delle 100mila associazioni sportive dilettantistiche. È un dato che deve far sorridere il Paese e meriterebbe le prime pagine dei giornali perché dice di un’Italia che continua a crescere, nonostante le difficoltà.Sembra invece che non se ne accorga nessuno! Peccato. Dentro queste 100mila Asd ci sono esperienze straordinariamente diverse (per discipline, obiettivi, numeri). Per semplificare prendo due categorie. Da un lato quelle società, sul modello “palestra o campionato eccellenza di calcio”. Società sportive strutturate, che hanno impianto e gente a “libro paga”. Dall’altro società sportive di quartiere o d’oratorio che si basano sul volontariato. Oggi tutte si ritrovano a dover fare i conti con la legge sui defibrillatori in vigore dal 1º gennaio 2016. Il “nodo” è che le prime società (strutturate) resistono, ma le seconde (di frontiera) stentano a capirla. Sulla tutela della salute e sull’importanza del defibrillatore sono tutti d’accordo. Ma la legge non è affatto chiara. Chi deve garantire la presenza del defibrillatore sul campo? Concretamente: in una gara di un campionato di Eccellenza il problema non si pone. La società di casa o il comune l’acquistano e il gioco è fatto. Ma se si gioca su un impianto comunale di periferia? Se si affitta un campo? Chi dovrebbe garantire la presenza del defibrillatore? Il gestore dell’impianto? La società che gioca in casa? Tutte e due le società sportive che giocano? Può sembrare curioso ma nel testo di legge non è detto chiaramente. Gli esperti dicono che “nelle pieghe della legge” si evince che… Ma non si può ragionare per pieghe, e perciò il Csi chiederà una sorta di “interpretazione autentica”. Altro problema è: cosa accade se manca il defibrillatore? Qui entra in gioco l’aspetto regolamentare (a partire da gennaio) di ogni federazione o ente di promozione. Facciamo un altro esempio. Una squadretta di bambini si reca a giocare in trasferta e sul campo il defibrillatore non c’è. Può rifiutarsi di giocare? Si perde a tavolino? Spetta forse all’arbitro dire ufficialmente se il defibrillatore non c’è o non funziona? Sembra una sorta di Far west dove, forse anche giustamente, ciascuno sta emanando regolamenti in proprio. Succede così che una società iscritta contemporaneamente alla Figc, alla Fipav, al Csi (esempio a caso) si ritrova a dover attuare comportamenti differenti a seconda del campionato in cui gioca. Ma come? Il diritto alla salute non è sempre lo stesso? Il Csi farà uscire a breve un comunicato ufficiale. È certo che l’associazione è favorevole all’uso del defibrillatore; auspica normative chiare e applicabili per le società di ogni livello e che il legislatore si faccia carico di questi “vuoti” per fare un po’ di chiarezza; che le società sportive vanno aiutate. Per questo il Csi (come hanno fatto quasi tutte le federazioni e gli enti) ha attivato convenzioni con aziende leader nella produzione dei defibrillatori, percorsi di formazione per gli operatori, campagne di informazione e a breve saranno resi noti gli aspetti regolamentari (che entreranno in vigore a gennaio). Ma tutto ciò non basta. Occorre far chiarezza sino in fondo sulle modalità di applicazione della legge per evitare di scaricare sul presidente della società sportiva (spesso, un volontario) dubbi e responsabilità sempre più grandi.

 

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